Giuseppe Braga intervista Giuseppe Braga

photo: Federico Buonanno

 Buongiorno, qualche parola per autodefinirsi, prego.

Oh!, ne ho in abbondanza… miope, sordo, poco lucido, confuso, inconcludente, perdigiorno, sfaccendato, discontinuo, pigro, maniacale compulsivo, genio e sregolatezza (ma a intermittenza), ossessivo, dedito ad alzare il gomito, onanista incallito (a gomiti alti e bassi, è indifferente), fuori sincrono, irresistibile, disarmante, buffone, indeciso cronico, immaturo, comico (troppo spesso involontario), vampiresco, curioso come un gatto, amatore infallibile indomito instancabile ecc. – talvolta incompreso (ahi!), psicolabile, smemorato, eterno secondo (terzo, se gareggiano più di due persone e meno di quattro), tenace testardo testone peggio d’un mulo, sporcaccione, vanesio, cultore di bellezze irregolari, eterno bambino (nonostante sia padre, o forse ben per questo), inappetente – tranne che con una persona, semplicemente pazzo (ma che non si sappia in giro, mi raccomando), procreatore di piccole gemme (variamente classificabili, sia di carta che di carne), accidioso, fautore di leggerezza lentezza disincanto (calviniane e non) intesi come ancore di salvataggio dell’umanità, affettuoso e romantico ma a fasi molto alterne, sognatore impenitente, dissipatore di fortune, tifoso interista e, in ultimo ma non per ultimo, pittore (dipingo bellissimi quadri acrilici, invendutissimi) e cantante di una rinata band pop/rock. Ah, quasi dimenticavo. Gioco molto spesso con le Barbie e con la cucinina Duktig dell’Ikea. Ecco, sì, insomma, faccio un po’ di tutto tranne che lavorare, già. Ho una figlia di tre anni e mezzo con due occhi blu che sembrano fanali abbaglianti, le Barbie purtroppo sono tutte sue. Amo Egon Schiele e Gustav Klimt, La Pimpa, Stanley Kubrick, Billy Wilder e Paolo Sorrentino, Gli Aristogatti, Il libro della Giungla e Il Grande Lebowsky, Jeff Buckley, Tom Waits, i Beatles, Sonny Rollins, il Boss, Paolo Nutini e Il caffè della Peppina, Vinicio Capossela, gli Afterhours, gli U2 e i Coldplay, ma anche Ludovico Van, Pippi Calzelunghe, Wolfang Amadeus e La Muccalla. Ah, be’, e poi, ovvio, credo fermamente nella vita oltre la morte, ma a seconda di come m’alzo la mattina.

Va bene va bene, credo d’avere intuito il personaggio. Passiamo oltre, se non le spiace. Le sue origini?

Ah, non mi spiace, no. Le dico. Sono venuto al mondo nella seconda metà degli anni sessanta (a me sembra ieri, ma è una vita fa, effettivamente). Sono milanese di nascita, ma mezzo sangue abruzzese, con lontane discendenze, da parte di madre, napoletane. Detto ciò, preferisco di gran lunga gli arrosticini e la pizza, alla cazöela e al risotto (sulle orecchie d’elefante ne possiam parlare). Un po’ lupo, decisamente molto più orso, a volte ciuccio. E parecchio cancro, inteso come segno zodiacale, tengo a precisare, ecco. Un piccolo zoo, insomma.

Proseguiamo, che forse è meglio. Quand’è che ha cominciato a scrivere e perché… e, già che siamo in tema, i suoi scrittori di riferimento quali sono stati?

Uh!, ne potrei snocciolare parecchi, ma preferisco citarle alcune opere che, letteralmente, m’hanno folgorato: Compagni di sbronze, del vecchio Buck, Chiedi alla polvere, del buon John Fante, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, l’immancabile Raymond Carver, Paddy Clarke, ah ah ah!, del duttile Roddy Doyle, Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde, il grandissimo Stevenson, Colazione da Tiffany, il notevole Truman Capote, Vergogna dell’asciutto J.M. Coetzee, Viaggio al termine della notte del diabolico Céline, Tropico del Cancro, il folle Henry Miller, Superwoobinda, l’Aldo Nove degli inizi, La ragazza dai capelli strani, quella buon’anima di David Foster Wallace, Nati due volte dell’acutissmo Giuseppe Pontiggia… ognuno di loro, per me, una scoperta meravigliosa, uno stordente tuffo al cuore, un affacciarsi su un nuovo fantastico mondo. Riguardo agli inizi, se proprio ci tiene a saperlo, già, ho cominciato a scrivere piuttosto tardi, intorno ai trent’anni. Racconti brevi di pura fiction. Prima d’attaccarmi alla tastiera, mi dedicavo, pratiche onanistiche e gonnelle a parte, alla birra, al giuoco del Tetris, alla pittura e alla musica (attività, escluso il Tetris, che continuo a fare, impenitentemente, tutt’ora). Ma, intimamente, sentivo che mancava qualcosa, come dire, sentivo che non mi rappresentavano appieno. Ecco, e dunque, appena scoperta (in maniera casuale e naturale, quasi inevitabile, direi) la scrittura, mi ci sono buttato a pesce. È stato amore a prima vista! Il mio brodo primordiale. Le è mai capitato di vedere una donna e d’innamorarsene perdutamente? E di pensare, nell’immediato istante successivo – abbacinato  sbalestrato fuso lesso bollito – che era come se l’avesse già conosciuta, meglio, come se la conoscesse da sempre… ecco, così è stato! Un’onda del destino, insomma. Ho subito intuito che quella era la mia strada. Impervia, tutta in salita, ma chissenefregava. Dopotutto. Quando s’accende il fuoco dentro, mica si può più scegliere. Si è condannati a seguire quella via, a costo di bruciarsi. Che a me scrivere, lo confesso, scottature a parte, m’ha fin da subito riempito l’anima, e tutt’ora mi diverte e piace un mondo assai. Fin dal principio ho compreso che sarebbe stata, fallimenti a parte, la mia unica salvezza. La mia grazia ricevuta, mi segue? Ma… sa che le dico, adesso che mi ci fa pensare? Si scordi gli autori e i titoli che le ho appena citato. Preferisco farle un solo nome. Magari non conosciutissimo, non à la page, ma senz’altro per me fondamentale.

Dica dica, son tutt’orecchi…

Braga, Giuseppe Braga… ovvero, io me medesimo, ovvero il qui presente sottoscritto! Mi creda, una fonte d’ispirazione inesauribile, una risorsa infinita di cazzate e stupidaggini, spunti e idee a getto continuo!

photo: Federico Buonanno

Ma mi faccia il piacere, suvvia, non sia ridicolo!

Eh! Ma che ci vuol fare. Sono indubbiamente inesorabilmente indiscutibilmente implacabilmente ineluttabilmente uno scrittore auto-referenziale, mi spiace per lei. Dopo la prima breve parentesi di racconti fiction, mi son buttato sulla realtà circostante! E poi me lo dicono tutti, da un sacco che me lo dicono (io traggo ispirazione esclusivamente dalle cose che mi accadono intorno, che vuole, non vedo molto oltre al mio naso), perciò ho deciso di dirmelo anch’io, così facciam prima. Che poi, meglio scriver di cose che si conoscon bene, piuttosto che mettersi a sparar cazzate a caso sullo scibile umano, vero?

E questa stronzata chi l’ha detta, scusi?

Un certo Čechov, non so se ne ha mai sentito parlare…

Spiritoso… facile buttar lì citazioni a vanvera. Va be’. Piuttosto, come si definirebbe, come collocherebbe le sue creazioni letterarie?

Semplice pure questa. Uno scrittore comico. Comico in tutti i sensi, ovviamente. Sì, già, ecco, insomma, ci son volte in cui mi faccio ridere da solo. Ci crede? Ma ridere molto parecchio, eh!? Riguardo la collocazione, direi nessuna. È qui che sta il nocciolo della questione. Scrivo cose bellissime, mi creda, straordinariamente belle e divertenti!, ah!, oh!, uh!, ih!, eh!, da ammattirsi dal ridere!, così talmente belle bellissime fantasmagoricamente spancianti che non si possono proprio classificare… se non nella pura cristallina autentica auto-referenzialità, ovvio.

Passiamo oltre. Le sue pubblicazioni?

Uh, be’, alcuni racconti apparsi su variegate coloratisisme antologie e riviste cartacee (di un certo peso e non, diciamocelo) e poi, sopra tutto quanto il resto, qualche anno fa, un bellissimo quasi romanzo (a dirla tutta: un quasi diario, quasi manuale, quasi saggio, quasi… boh!, non s’è mai capito cosa cazzo fosse esattamente, manco io l’ho capito), senz’altro però, definizioni e incasellamenti a parte (che a me manco piacciono), una roba scintillante, brillante, ironica, a tratti irresistibilmente comica, tagliente, acuta, irriverente, intelligentissima, decisamente autobiografica! Libro nel quale pigliavo per il culo – mi si passi la metafora oxfordiana – in primis il sottoscritto autoreferente in questione, e poi, in ordine sparso: il mondo dell’editoria, i corsi di scrittura creativa (che peraltro, ho frequentato abbondantemente), gli aspiranti, i concorsi letterari, le case editrici a pagamento, ecc., snocciolando nomi e cognomi di scrittori affermati e non, di critici, di editor, di giornalisti, di amici, di conoscenti… persino mia madre e mio padre ho messo in mezzo, già, e pure loro ne uscivano, come dire, un po’ così, ecco.

Capolavoro, immagino. E comunque… scusi ma io me lo son proprio perso. Sarà che sono un po’ distratto. Perdoni. Qual era il titolo del suddetto acutissimo romanzone?

Si figuri. Ormai pubblicano di tutto e talvolta può capitare di non cogliere le perle in mezzo alla… be’, sorvoliamo. La perdono, ci mancherebbe, dopotutto, non so perché, ma le voglio bene. Il titolo, in sé, era mica male, il titolo era: Ma tu lo conosci Joyce?. Forte, vero? E però, a posteriori, ecco, facile dirlo dopo, lo so, e però, ecco, troppo raffinato come titolo, già, troppo sottilmente ironico, temo che molta gente si sia lasciata influenzare da quel nome, a suo modo importante e temibile. Joyce, inteso come James, ovvio. Ammesso sapessero chi fosse, naturalmente. Oh, sia ben chiaro, io per primo, eh! Manco nemmeno aperto L’Ulisse e figurarsi il Finnegans Wake. Giusto sfogliato un poco i Racconti di Dublino. E comunque, il Joyce del titolo non c’entrava una mazza col contenuto del libro, voglio dirlo, finalmente, in maniera chiara e esplicita! Era solo la citazione esemplificativa (quanto mai, lo dico a posteriori, certo, fuori luogo) di un autore troppo spesso menzionato a sproposito (esempio: nelle scuole di scrittura) e, molto più spesso, mai letto. Come dire, quei nomi che, mentre si pronunciano, riempiono la bocca, mi segue? E poi, Joyce a parte, poi probabilmente, ecco, i potenziali acquirenti lettori, si saran spaventati guardando la copertina.

photo: Federico Buonanno

Oddio, mi mette l’ansia addosso, adesso! E di grazia, chi c’era in copertina?

Una mezza faccia da pirla, una mezza faccia da pirla di un tizio con gli occhi sgranati e lo sguardo un po’ tonto. Mezza perché era presa dal naso in su (il pirla in questione era da considerarsi a tutti gli effetti intero). Ehm, ecco, come dire, già, il pirla in questione ero io.

Ma allora è un vizio, lei sta ovunque…

Le avevo detto che sono uno scrittore auto-referenziale, non se lo ricorda già più? Tanto per dirle. Adesso ci sta la moda di farsi gli autoscatti. Ecco, io ‘sti cavolo di autoscatti già me li facevo (con la macchinetta col rullino dentro, eh) nei primi anni novanta. Altro che digitale. Un genio anticipatore assoluto. Mi capisce?

E come no! Che delizia, ma lo sa che con tutte ‘ste cose qui che sta dicendo, lei mi sta davvero facendo venire una gran voglia matta di leggerla? Appena c’ho un minutino libero corro in libreria e la cerco. Ma tornando a bomba, scusi la domanda indiscreta. Ha avuto successo questa Sua Grande Opera Letteraria?

Ecco, lasci pure perdere il saltino in libreria, che la mia Grande Opera, attualmente, in libreria, ecco, mica si trova più. Chiuso l’inciso. Tornando a bomba (ce l’avessi gliela metterei sotto al culo, una bella granata, cazzone che non è altro), ecco, quando uscì, il mio buon Ma tu lo conosci Joyce?, fece parlare abbastanza, già. Ricordo una serie d’interviste (nelle quali non sapevo mai cosa dire, ma questa è un’altra storia), articoli (persino il Corriere della Sera, non le dico l’impennata di popolarità nel mio quartiere!), presentazioni, incontri, reading e via così, le solite cose, insomma. Se invece si riferisce alle vendite, ecco, meglio sorvolare. E però. Chi l’ha detto che i soldi son tutto nella vita? Sia come sia, un migliaio di persone hanno avuto la fortuna di acquistarlo e (forse) pure di leggerlo. Al di là di ciò, insomma, sarà un caso, ma da lì in poi, racconti a parte, non ho pubblicato più niente, pensi un po’ lei! Inoltre ho pure rischiato di venir diseredato, si figuri! I miei s’erano incazzati per come li avevo raccontati nel libro. Ritornando a bomba, ripensandoci, a posteriori, m’è come venuto il sospetto che il piccolo mondo editorial-letterario italiano, ma che resti tra noi, sia assai permaloso. Detto ciò, io un po’ me la son pure cercata, ecco, mica dico di no.

Provo a cambiare un poco argomento. Ma non troppo. Quanto è importante l’amore per lei e per la sua attività di scrittore? Ne viene influenzato, rispetto nelle cose che scrive?

Ah, l’amor, ma che cossè l’amor? Ohhh! Ma l’amore è il traino del mondo, l’amore è il tumulto del cuore, l’amore è la forza motrice che smuove tanto le montagne quanto le dita che battono sulla tastiera, l’amore è l’amore, è la cartina di tornasole, è il cielo stellato sopra di noi, l’amore è: non c’è due senza te!, l’amore è sputare controvento per riprendersi tutto l’amore che s’è appena sputato controvento… ecco, sintetizzando, in due parole, io senza amore, io son praticamente perso.

È stato fin troppo chiaro. Per concludere, che s’è fatta una cert’ora. Progetti per il futuro? Ora come ora, librerie a parte, la si può legger da qualche parte?

Be’, se proprio c’ha l’urgenza può andare sul mio blog: http://giuseppebraga.wordpress.com (perdoni la pubblicità, ma se non colgo l’occasione…), lì senz’altro si spancerà dalle risate, gliel’assicuro, lì troverà cose divertentissime (e parecchio riflessive)! Per il resto, ecco, c’ho belle che pronte, una cosa indefinibile – ma bellissima! – che riguarda mia figlia, un’altra altrettanto indecifrabile ispirata a mio padre e una terza, in via di definizione, dedicata alla mia cugina preferita e immaginaria, l’imperdibile e graziosissima Piera. Come vede, a conferma di tutto quel le che ho finora detto, robe strettamente legate al circostante, a ciò che, nel bene e nel male, accade e ruota intorno a me. Robe strettamente autoreferenziali, insomma. Ma che ci posso fare, son fatto così.

D’accordo, si figuri, dopotutto son robe sue e non metto lingua. E però, quest’intervista, non le nego, non so lei, ma a me m’ha sfiancato. Per favore, trovi lei una chiusura degna…

Molto bene, non mi tiro certo indietro. Per non smentirmi vorrei auto-citarmi. Ecco sì, potrei chiudere con questa frase, apparsa ovviamente nel Mio Romanzone Incompreso, s’intende: “Credo che la notte sia fatta per amarsi, ma scopare la mattina non mi dispiace.” Bellissima nella sua ovvia e sacrosanta semplicità, vero?

Mah… mi scusi ma a me, in tutta sincerità, a me mi pare ‘na mezza stronzata.

Vabbé. Che vuole che le dica. Sempre sostenuto d’essere fuori tempo. La mia ironia non paga, già. Ma io non me la prendo, c’ho fatto l’abitudine, ah! E poi sa che cosa? Io mica c’ho fretta. Prima o poi arriverà pure il mio turno. Che poi. Come diceva Josephine (Tony Curtis) in A qualcuno piace caldo, l’importante non è quanto si aspetta, ma chi si aspetta. Arrivederci e buone cose.

photo: Federico Buonanno

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5 risposte a Giuseppe Braga intervista Giuseppe Braga

  1. Pingback: autointervista braghiana « Piani Alti, cultura bassa 2.0

  2. rosanna ha detto:

    Che dire… mi piace ed e’ molto divertente l’ intervista!!!Ora non mi resta che pubblicarla!!!!

  3. rosanna ha detto:

    Dimenticavo… che splendore la prima foto!!! Baci!

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